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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Vicolo Sciarra (R. II - Trevi) (in ricordo della Piazza) (Trevi-Pigna-Colonna)(Piazza scomparsa – occupava la parte di via del Corso, di fronte al Palazzo Colonna-Sciarra, oggi ricordata dal vicolo che va da via del Corso – dove cominciava la piazza -  a Piazza dell’Oratorio di San Marcello)

Il palazzo che dava il nome alla piazza era, alla fine del XV secolo, un palazzetto appartenente ai Colonna di Sciarra, discendenti del leggendario schiaffeggiatore di Bonifacio VIII.

Un secolo dopo Flaminio Ponzio (1575-1621) costruì l’attuale palazzo, il portone del quale, che si ritiene essere d’un sol pezzo, fiancheggiato da 2 colonne doriche è della metà del XVII secolo.

"Nella piazza Sciarra terminava la via Lata e principiava la via Flaminia, dove nel 1641, facendosi uno scavo, nella profondità di 23 palmi (1,7 metri), si trovò l'antica selciata; e di fronte all'arco di comunicazione, detto di Carlomagno, furono rinvenuti diversi pezzi di colonna, una lapide, appartenente a Claudio (41-54) ed una medaglia d'oro, in cui da una parte, era l'effigie di quest'imperatore e dall'altra un arco con la sua figura equestre, giacché fa credere, che qui vi era situato l'arco di Claudio" (Vasi - XVIII sec).

L'arco, detto di Carlomagno, che prendeva il nome da Giulio Colonna principe di Carbogna, congiungeva il palazzetto Sciarra con altre case verso piazza Colonna.
Arco e palazzetto furono demoliti nel 1886 per l’apertura di via Marco Minghetti.
In fondo a questa via, in angolo con la via delle Vergini (attuale Caffè del Quirinetta) era la prima tipografia del giornale "la Tribuna" fondato da don Maffeo Sciarra che pubblicò il primo numero il 26 novembre del 1883.[1]

A proposito di piazza Sciarra, c'è un ricordo di un merciaio ivi abitante, chiamato Cencio Storto, che "condannato alle forche e già appiccato, fu buttato giù dalle forche prima che il boia gli montasse sulle spalle, perché passò un cardinale che ordinò si  tagliasse  il  capestro.  Cencio  fu  liberato,  ma  rimase col collo storto[2]

Sulla strada (via del Corso), di fronte al palazzo Sciarra, c'è quello della Cassa di Risparmio, costruito dall’architetto Antonio Cipolla, in stile cinquecentesco, nel 1872.

Al posto della Cassa v’era prima il "Caffè del Veneziano". La patente di esercizio segnava “Acquafrescaiolo”.
Il locale, il più frequentato di Roma, componevasi di tre medesime botteghe riunite da archi, e di due camerini più o meno riservati. Alle finestre, impannate di cotone bianco: pochi canapè impagliati e piccoli tavolini. Di sera era illuminato (fino a due ore di notte) con ampolle di vetro ad un solo lucignolo, sul balcone due grandi lucerne a quattro becchi. Fu demolito nel 1868.

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[1] )            Vi fu montato nel 1893 la prima linotype, importata in Italia dall'Inghilterra. Il suo numero di matricola era 611. Messa  poi da  parte fu  "richiamata in servizio"  durante la guerra 1940-45.

[2] )            Uno di tali casi è così descritto dall'abate Benedetti e riferito da D. Silvani: "Presso la fontana del Moro (piazza Navona) si era rizzato un palco, sul quale stavano seduti tre uomini esposti alla berlina. Ciascuno era legato sopra un banco ed aveva appeso al collo un cartello, su cui si leggevano a grandi caratteri il nome, il cognome e il soprannome del colpevole e della colpa che lo aveva fatto esporre alla beffa del popolo... Salirono due aguzzini sul palco; i pazienti furono legati bocconi sul banco ed un manigoldo somministrò ai primi due, 25 colpi di nervo di bue ciascuno, sulle parti delle deretane. I pazienti si lagnavano, si contorcevano ed il popolo applaudiva ad ogni battitura, con una ferocia raccapricciante. Per il terzo uomo, pallido e scarno, l'aguzzino si pose all'opera: alzando il braccio segnava nell'aria una X, ed il nervo fischiando percuoteva violentemente l'infelice condannato... Ma in un punto una voce stentorea gridò: ferma! Quel grido seguito da uno strillo di tromba indicò al manigoldo che doveva sospendere le battiture". Appariva infatti il battistrada che precedeva il corteggio dell'ambasciatore della Serenissima. "L'infelice torturato, alzando a stento il capo e visto il corteo, gridò con quel poco di fiato che gli era rimasto: Grazia, grazia, ed il popolaccio sempre mobile nelle sue voglie, cessando d’irridere al paziente, ripeté: Grazia. L'ambasciatore rivoltosi verso il luogo del supplizio visto quell'infelice, fece un cenno al  bargello che presiedeva a quella punizione, e costui, chinando il capo profondamente, fece comprendere che la grazia era fatta. Il paziente fu subito sciolto il popolo, salutando il benefico liberatore, gridò: viva S. Marco!".
E questo perché era uso che un cardinale od un ambasciatore, incontrando un condannato potevano liberarlo.

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Vicolo_Sciarra

Vicolo Sciarra

Vicolo_Sciarra-Palazzo_Maccarani

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Vicolo_Sciarra-Lapide_Palazzo_Maccarani (2)

Vicolo_Sciarra-Lapide_Palazzo_Maccarani

Vicolo_Sciarra-Edicola_Palazzo_Maccarani

Vicolo_Sciarra-al_n68

Vicolo_Sciarra-Edicola_al_n69

Vicolo Sciarra - Palazzo Atti Maccarani

Il palazzetto, del XVI secolo, originariamente edificato come alloggiamento della servitù del vicino palazzo Sciarra,  fu acquistato, nel XIX secolo, dai Macchi di Cellere, famiglia di origine viterbese.

Vicolo Sciarra - Palazzo Atti Maccarani
Portone su vicolo Sciarra al n. 54

Vicolo Sciarra - Palazzo Atti Maccarani
Targa urbana - 1742

Vicolo Sciarra - Palazzo Atti Maccarani
Targa urbana - 1764

Vicolo Sciarra - Palazzo Atti Maccarani
Edicola della Madonna del Divino Amore

Vicolo Sciarra - Edicola al n. 68

Vicolo Sciarra - Edicola al n. 69

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